mercoledì 18 aprile 2012

Con quale modalità viene assegnata l’abitazione coniugale?

Gli art. 155 c.c. e l'art. 6 L. 898/70, stabiliscono il principio che l'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza, e ove possibile, al genitore cui vengono affidati i figli, o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età e sino alla loro indipendenza economica. In ogni caso, ai fini dell'assegnazione, il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L'assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell'art. 1599 del codice civile.
L'assegnazione pertanto non è possibile a favore del coniuge non affidatario o in mancanza di figli. In tale ultimo caso la disponibilità dell'abitazione coniugale sarà disciplinata sulla base delle normali regole sulla proprietà e sulla locazione.

martedì 3 aprile 2012

Quale documentazione bisogna fornire per chiedere il divorzio consensuale?

Tutti i documenti possono essere richiesti in carta libera, validità 6 mesi:

- copia integrale dell'atto di matrimonio rilasciato dal comune in cui il matrimonio è stato celebrato;

- certificato di residenza di entrambi i coniugi;

- stato di famiglia di entrambi i coniugi;

- fotocopia delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi 2 anni dei coniugi (in caso di mancanza, autodichiarazione attestante il fatto di non aver presentato la dichiarazione nell'anno 200....);

- copia del verbale dell'udienza presidenziale contenente l'autorizzazione ai coniugi a vivere separati;

- copia del decreto di omologa della separazione (nel caso di separazione consensuale) o della sentenza di separazione con dichiarazione di passata in giudicato (nel caso di separazione giudiziale).

giovedì 29 marzo 2012

Esiste l'accordo prematrimoniale?

Si parla sempre più spesso di accordo o contratto pre-matrimoniale per tutelarsi in caso di fallimento del matrimonio e mettere per iscritto le condizioni di una futura separazione e ripartizione dei beni. “I patti prematrimoniali” consistono in accordi stipulati tra i futuri sposi in ordine alla gestione del matrimonio ed alla sua eventuale fine o morte di uno dei due coniugi.
Si tratta di obbligazioni che i futuri coniugi assumono in una scrittura per disciplinare la loro vita coniugale e l’eventuale fallimento della stessa. I patti prematrimoniali (prenuptial agreement o semplicemente prenup) sono un emblema di modernità, che suppliscono alle generiche garanzie reciproche di fedeltà ed assistenza che i futuri sposi assumono contraendo matrimonio.
La loro applicazione, il più delle volte, evita il processo o quantomeno ne riduce i tempi, a tutto vantaggio dei cittadini e dello Stato. I patti prematrimoniali sono contemplati negli ordinamenti giuridici di grandi Paesi quali Usa, Francia, Inghilterra, Irlanda, Spagna, Portogallo, Grecia, Giappone e Germania, sebbene con sostanziali differenze di applicazione tra uno Stato e l’altro.
In Italia è invalido, per contrasto sia con l'art. 9 della L. 898/70, che non consente limitazioni di ordine temporale alla possibilità di revisione del regime divorzile, sia con l'art. 5, che, fissando i criteri per il riconoscimento e la determinazione di un assegno all'ex coniuge, configura un diritto insuscettibile, anteriormente al giudizio di divorzio, di rinunzia o transazione.
Un simile accordo viene considerato illecito perché rivolto, esplicitamente o implicitamente, a viziare, o quanto meno a circoscrivere, la libertà di difendersi in giudizio di divorzio, con irreparabile compromissione di un obbiettivo d'ordine pubblico come la tutela dell'istituto della famiglia (Cass. 3777/81).

martedì 27 marzo 2012

Rapporto Istat: record divorzi nell’ultimo decennio. Il segno più non è una sorpresa.

Separazioni e divorzi crescono, seguendo la tendenza: 85.945 e 54.456 nel 2009 (+2,1%e +0,2%). Ma crescono meno (dal 2007 al 2008 l’incremento fu di +3,4%e +7,3%). «E questo si spiega con le difficoltà economiche di un gran numero di persone» , dice il sociologo della famiglia Pierpaolo Donati. C’è un incremento, però, che è significativo nell’ultimo rapporto Istat diffuso ieri. E riguarda le persone che hanno superato i 60 anni.

Dal 2000 al 2009 le separazioni che hanno coinvolto uomini ultrasessantenni sono passate dal 5,9%al 9,4 per cento: in termini assoluti da 4.247 a 8.086. Quanto alle donne, sono salite da 3,6 a 6,1 per cento, cioè da 2.555 a 5.213. Pantere grigie protagoniste anche nella sfera affettiva. «Vent’anni fa un pensionato era principalmente un nonno. Da lui ci aspettavamo che facesse le parole crociate e giocasse a bocce» , racconta la terapeuta di coppia Gianna Schelotto. Oggi no. «I sessantenni sono sportivi, vitali, pieni di voglie.

Un uomo non è disposto a vivere accanto a una compagna critica, il suo ritratto di Dorian Gray, due occhi nei quali vede riflessa l’età che avanza mentre lui non ha altro desiderio che cambiare, essere diverso, non pensare al tempo» . Anche la donna è insofferente. «Vuole riprendersi la vita, l’indipendenza. Se il partner la lascia, quasi certamente lo fa perché ha un’altra. Ma se lei pone fine a una relazione pluridecennale lo fa per se stessa, soprattutto».

Il sociologo Donati analizza lo stesso aspetto. «È il cosiddetto individualismo emancipativo che influisce più sulla donna che sull’uomo. Quando si è giovani è soprattutto lei a insistere per il matrimonio, desiderosa di procreare e di mettere su una famiglia. Dopo i sessant’anni la situazione si inverte ed è l’uomo ad aver voglia di famiglia, mentre la donna è perfettamente indipendente» . Rispetto al 1995 sono più che raddoppiate le separazioni sopraggiunte dopo venticinque anni di matrimonio.

Secondo l’Istat adesso il 16,2 per cento dei coniugi che prende la decisione ha già celebrato le nozze d’argento. Ma il matrimonialista Gian Ettore Gassani va oltre e sostiene che nelle grandi città le separazioni over 65 rappresentano il venti per cento del totale. «La causa principale non è più l’infedeltà, ma l’incompatibilità di carattere, la noia o l’incapacità di trovare compromessi. Ci si lascia perché si pensa che un percorso sia terminato». È il momento dei bilanci. Aggiunge il collega Cesare Rimini: «Queste separazioni tardive nascono da un ragionamento. Se i figli sono sposati e non vivono più a casa, è inevitabile fare un bilancio: quando prevalgono noia, silenzio, insoddisfazione, allora scatta la molla che fa desiderare una vita vera» . L’avvocato però ammette: «Sono soluzioni a cui ricorre chi dispone di una certa capacità economica, quando nessuno dei due dipende dall’altro».

Il fenomeno non riguarda naturalmente soltanto l’Italia. L’anno scorso, dopo l’inattesa separazione tra Al Gore e signora (quarant’anni di matrimonio), si era occupato del tema il Wall Street Journal, facendo un’analisi molto semplice: le mogli hanno trovato l’indipendenza economica grazie al lavoro e i mariti hanno ritrovato la sessualità grazie al Viagra. Riflessione condivisa dalla docente di Psicologia e psicopatologia dello sviluppo sessuale Chiara Simonelli. Dice: «Un paio di generazioni fa prevaleva l’idea comune del sessantenne come una persona asessuata. Magari non era proprio così. Oggi c’è meno ipocrisia. Maschi e femmine forse a quell’età non si sentono come dei ventenni, ma in pieno diritto di cercare la propria felicità privata».

Come divorziare

Il divorzio è l'istituto giuridico che permette lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio quando tra i coniugi è venuta meno la comunione spirituale e materiale di vita ed essa non può essere in nessun caso ricostituita. Si parla di scioglimento qualora sia stato contratto matrimonio con rito civile, di cessazione degli effetti civili qualora sia stato celebrato matrimonio concordatario.

Il procedimento di divorzio può seguire due percorsi alternativi, a secondo che vi sia o meno consenso tra i coniugi:

1) divorzio congiunto, quando c'è accordo dei coniugi su tutte le condizioni, in questo caso il ricorso è presentato congiuntamente da entrambi i coniugi;
2) divorzio giudiziale, quando non c'è accordo sulle condizioni, in questo caso il ricorso può essere presentato anche da un solo coniuge.

Il divorzio si differenzia dalla separazione legale in quanto con quest'ultima i coniugi non pongono fine definitivamente al rapporto matrimoniale, ma ne sospendono gli effetti nell'attesa di una riconciliazione o di un provvedimento di divorzio.

Elementi necessari per richiedere il divorzio sono dunque:

1) il venir meno della comunione morale e spirituale;
2) la mancanza di coabitazione tra marito e moglie.

Le cause che permettono ai coniugi di divorziare sono tassativamente elencate nell'art. 3 della legge 1970/898 e attengono principalmente ad ipotesi in cui uno dei coniugi abbia attentato alla vita o alla salute dell'altro coniuge o della prole, oppure abbia compiuto specifici reati contrari alla morale della famiglia. Ma la causa statisticamente prevalente che conduce al divorzio è la separazione legale dei coniugi protratta ininterrottamente per almeno tre anni a far tempo dalla prima udienza di comparizione dei coniugi innanzi al tribunale nella procedura di separazione personale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale. Per la decorrenza dei tre anni non vale il tempo che i coniugi hanno trascorso in separazione di fatto, senza cioè richiedere un provvedimento di omologa al Tribunale.

Il divorzio può quindi essere richiesto:

1) in caso di separazione giudiziale: qualora vi sia stato il passaggio in giudicato della sentenza del giudice;
2) in caso di separazione consensuale: a seguito di omologazione del decreto disposto dal giudice;
3) in caso di separazione di fatto: se la separazione è iniziata 2 anni prima del 18 dicembre 1970.

Nei primi due casi, tra la comparizione delle parti davanti al Presidente del Tribunale nel procedimento di separazione e la proposizione della domanda di divorzio devono comunque essere trascorsi almeno tre anni. Solo con il divorzio, marito e moglie mutano il loro precedente stato di coniuge e possono contrarre nuove nozze.

Effetti del Divorzio

A seguito di divorzio, la donna perde il cognome del marito, vengono meno i diritti e gli obblighi discendenti dal matrimonio (artt. 51, 143, 149 c.c.), viene meno la comunione legale dei beni ai sensi dell'art. 191 c.c. (se già non è accaduto in sede di separazione), cessa la destinazione del fondo patrimoniale (art. 171 c.c.) e viene meno la partecipazione dell'ex coniuge all'impresa familiare (art. 230 bis c.c.).

La sentenza di divorzio potrà stabilire provvedimenti su:

1) questioni patrimoniali e assegnazione dell'abitazione familiare;
2) versamento assegno divorzile;
3) affidamento della prole.

sabato 24 marzo 2012

In caso di separazione bisogna versare l’assegno di mantenimento?

econdo quanto prescritto nell'art. 156, 1°co. c.c., un coniuge deve corrispondere all'altro un assegno di mantenimento se quest'ultimo non dispone di adeguato reddito personale e se la separazione non sia addebitabile a lui per colpa.
Questo assegno di mantenimento dovrà far sì che il coniuge che lo riceve continui a mantenere le stesse condizioni di vita che aveva durante il matrimonio: alla base, si deve verificare se il coniuge che lo deve versare abbia effettivamente una condizione economica che lo metta in grado di farlo.
Il coniuge che deve ricevere l'assegno può decidere di rinunciarvi, altrimenti lo stesso dovrà essere corrisposto con cadenza mensile.
Qualora il coniuge che deve versare la quota non adempia al suo dovere, il coniuge beneficiario potrà richiedere il sequestro di parte dei beni dell'obbligato, oppure potrà chiedere a terzi il versamento della somma spettantegli.
Qualora uno dei coniugi sia il responsabile della separazione, non avrà diritto all'assegno di mantenimento, ma avrà diritto solo agli alimenti (quanto basta a garantire la sussistenza) se le sue condizioni economiche sono particolarmente precarie (art. 156, 3° co. c.c.). Si potrà sempre richiedere la modifica o la revoca del provvedimento preso dal Giudice, qualora intervengano fatti nuovi.

martedì 20 marzo 2012

Tipologie di separazioni



Per fare un po' di chiarezza oggi analizziamo le principali tipologie di separazioni.

La separazione consensuale è l'istituto giuridico attraverso il quale marito e moglie, di comune accordo tra loro, decidono di separarsi. La separazione consensuale non è quindi possibile in mancanza di un accordo tra i coniugi che investa ciascuna questione (diritti patrimoniali, mantenimento del coniuge debole, diritti di visita e mantenimento della prole, assegnazione della casa coniugale).
Se i coniugi trovano un accordo sulle condizioni della loro separazione, possono fare congiuntamente domanda di separazione all'autorità giudiziaria (con un unico ricorso, sottoscritto da entrambi), instaurando il procedimento di separazione consensuale (v. art. 158 c.c.).
Il ricorso per la separazione consensuale può contenere diverse clausole e pattuizioni, fra loro eterogenee.
Occorre dunque distinguere il cosiddetto "contenuto minimo" della separazione consensuale, costituito da quegli accordi che riguardano direttamente la separazione e che hanno ad oggetto gli obblighi che derivano dal matrimonio, da altri accordi che possono intervenire fra i coniugi in occasione della separazione, come ad esempio gli accordi che riguardano la divisione dei beni in comune.
Il cosiddetto "contenuto minimo della separazione" è infatti costituito da quelle clausole che i coniugi devono necessariamente prevedere per potersi separare consensualmente. Tali convenzioni fra i coniugi non possono acquistare efficacia se non vengono omologate dal Tribunale.
Le altre pattuizioni che intervengono solitamente fra i coniugi in occasione della separazione, come ad esempio quelle che riguardano la divisione dei beni in comunione o quelle con le quali un coniuge trasferisce all'altro la proprietà di taluni beni, ben potrebbero essere oggetto di veri e propri contratti fra le parti: esse acquisterebbero piena efficacia anche senza l'omologa del Tribunale (purchè vengano rispettati i requisiti formali previsti dalla legge).
La separazione di tipo giudiziale può essere chiesta, quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole.
A differenza della separazione consensuale, la separazione giudiziale implica l'instaurarsi di una vera e propria lite giudiziale.
Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e solo se ciò sia richiesto da uno dei coniugi o da entrambi, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.
Peculiarità della separazione giudiziale, è pertanto la possibilità dell'addebito della separazione ad uno dei coniugi.
E' infatti possibile che uno dei coniugi chieda espressamente al Tribunale di dichiarare l'altro coniuge come unico responsabile del fallimento coniugale. Diversi sono i comportamenti ed i fatti che possono portare all'addebito di una separazione. Prescindendo da evidenti ipotesi di comportamenti contrari ai doveri matrimoniali, come violenze domestiche, commissione di reati da parte di un coniuge nei confronti dell'altro, vi sono altri comportamenti che pur non trovando espresso riferimento in supporti normativi, vengono valutati dai Tribunali per l'addebito della separazione; tra questi ricordiamo le vessazioni psicologiche, il rifiuto nell'esercitare l'atto sessuale, l'estrema gelosia, l'atteggiamento del coniuge più facoltoso che fa mancare all'altro i mezzi di sostentamento, ecc.

Fonte : Divorzio e separazione